Ballerina insanguinata
Scultura in argilla di 10 cm. Pezzo raro e unico dipinto a mano.
Suspiria
Una coreografia visionaria e macabra dove a danzare sono corpi di donne, corpi di streghe.
«This is a waltz thinking about our bodies» canta Thom Yorke. Più che un valzer, il Suspiria di Luca Guadagnino è un ballo primitivo e insieme danza moderna, ancestrale e contemporaneo. Un movimento ampio e dinamico, una coreografia visionaria e macabra divisa in sei atti e un epilogo che pensa ai corpi, quelli delle ballerine protagoniste, donne e streghe.
Non è un remake, quello di Guadagnino, ma piuttosto una personale rivisitazione, una reinterpretazione da parte del regista siciliano di un film rimasto nella mente e nel cuore da ragazzo. Il punto di partenza è “il vecchio” Suspiria: siamo nel 1977 – anno dell’originale di Dario Argento – nella Berlino divisa dal Muro dove la giovane americana Susie Bannion (Dakota Johnson) entra nella prestigiosa scuola di danza di Helena Markos in cui insegna la maestra Madame Blanc (Tilda Swinton). Parallelamente alle lezioni di ballo, lo psichiatra dottor Klemperer indaga sulle strane sparizioni di alcune ragazze della compagnia scoprendo che all’interno dell’accademia sono all’opera forze oscure.
Se la trama dei due Suspiria è simile, bastano pochi minuti per capire quanto il film di Guadagnino si allontani dalla pellicola precedente. Non solo per il diverso sviluppo narrativo, per l’aggiunta di nuovi personaggi e di un sub-plot – quello dello psichiatra – che si intreccia al principale, ma soprattutto per lo stile. Dall’estetica “al neon” colorata di accesissimi blu e rossi si passa a un aspetto visivo più cupo e freddo che si riflette in architetture austere, specchio del clima sociale e politico dell’epoca.
«Dancing behind a wall», dietro alla durezza dell’atmosfera si nascondono corpi (femminili) pulsanti di vita, in continuo movimento sulle note dell’ipnotica colonna sonora firmata da Thom Yorke e sui passi delle magnetiche coreografie di Damien Jalet. L’orrore messo in scena da Guadagnino è viscerale, deforma la carne, spezza le ossa e poi esplode in un bagno di sangue da grand-guignol in un sabba agghiacciante in cui un inaspettato colpo di scena si fa largo in mezzo al gore che invade lo schermo. Un horror, inoltre, che si avvale di poca computer grafica per guardare indietro agli effetti speciali artigianali e grazie a trucchi e protesi (creati da Mark Coulier) le immagini vibrano di materia plastica, animata, viva.
Corpi danzanti – spicca quello di Tilda Swinton modellato sulla figura di Pina Bausch – dentro un impianto formale estremamente suggestivo dove la macchina da presa insegue le sue attrici raccontando la storia del Male che si annida nel mondo, sia esso soprannaturale come quello delle streghe, oppure tristemente reale come quello provocato dal nazismo. Oltre la magia e le congreghe, l’orrore è metaforico, ma visivamente potente e disturbante. Senza dubbio, Suspiria è un horror d’autore, un’opera così ricca e densa da richiedere più visioni. Un film che, alla fine, è una dichiarazione d’amore verso il Cinema.